Un caffè al Wahiba Sand Desert
Il rito del caffè coi datteri
È tradizione in Oman accogliere gli ospiti in soggiorno, accomodati sul divano arabo: quello a pavimento, con al centro un tavolino basso, sul quale vi sono sempre una ciotola con acqua per sciacquarsi le dita della mano, i tovagliolini per asciugarsi, una ciotola colma di datteri e il caffè al cardamomo rigorosamente senza zucchero, contenuto in una caffettiera tipica omanita: la dallah, che ha il caratteristico beccuccio ricurvo o nel più pratico termos, servito in tazzine tradizionalmente senza manico. Vivere questa radicata usanza, in pieno deserto, mentre il sole sta per scomparire dietro le dune con il cielo che si tinge degli stessi colori del fuoco, che sta divorando i rami degli arbusti, è un’emozione senza pari.
In mezzo alle fiamme c’è una dallah annerita dai tanti momenti condivisi, l’acqua al suo interno sta andando a bollore. Amur l’omanita, vestito con il tipico abito, un Dishdasha bianchissimo e sul capo ha un berretto chiamato kummah si sta prodigando a preparare tutto. Lui vive qui, nel deserto. Ora è chino ad accudire il fuoco in attesa che la bevanda sia pronta e noi seduti sui cuscini poggiati su un tappeto a godere del tempo di una qualità tale che vorresti fosse eterno, ma il sole traditore lo scandisce tramontando.
Il Wahiba Sand Desert
È così che il deserto ci sta ammaliando, ma restiamo comunque consapevoli che sia anche un luogo inospitale e difficile da vivere. L’assordante silenzio dei primi minuti si rompe quando lasci che i sensi si espandano ed inizi a percepire le voci del vento e dei granelli di sabbia. I minuscoli granelli, spostandosi emettono una lieve vibrazione sonora, è il “racconto” di un viaggio che dura 10000 anni. Tanti sono gli anni, da quando il Wahiba Sand Desert che si estende per 180 km da nord a sud e gli 80 km da est a ovest ha iniziato a formarsi, continuando a espandersi fino a raggiungere i 12500 km², ai quali si aggiungono altri dieci metri ogni anno.
Se i singoli granelli hanno memoria della loro provenienza e si può scoprire da dove hanno iniziato il loro viaggio, l’intera e infinita distesa di sabbia non ne ha. Niente rimane fermo troppo a lungo qui. Tutto muta in pochi istanti. Le dune del giorno prima non sono le stesse di oggi. Le sensazioni che ti danno le dune zebrate rossastre, arancione, ocra chiaro e senape ti entrano dentro fino all’anima e si fissano nella memoria. Le tracce dei faticosi passi che sprofondano nella sabbia che a breve scompariranno sono la metafora della vita. L’emozione del superare una duna e poi un’altra e un’altra ancora è di volta in volta una gioia, quella di aver compiuto un’impresa.
Il luogo dove ritrovarsi
In questo paesaggio desolato, capisci perché in tanti hanno scelto il deserto come luogo dove ritrovarsi, attratti da un luogo che per qualche motivo misterioso spinge a indagare nel profondo della spiritualità e di noi stessi. Non è un caso che Jung, uno dei padri della psicoanalisi, scrisse: “La mia anima mi porta nel deserto, nel deserto del mio Sé. Non pensavo che il mio Sé fosse un deserto, un arido e torrido deserto, polveroso e senza ristoro”. È difficile che il deserto non sfiori le corde più profonde dell’anima e del Sé. Che tu voglia o no il deserto ti entra dentro. Lo farà, anche se non cogli gli aspetti spirituali e psicologici, attraverso il respiro, quando le particelle della sottile polvere saranno trattenute nei polmoni.
Il deserto penetra nei pori, te lo porti addosso per qualche giorno nonostante le docce. Il deserto ti destruttura. Questo luogo ti insegna quanto sia importante aiutarsi l’un l’altro. Le difficoltà di uno diventano le tue e insieme si trovano soluzioni. Qui si condividono molte cose come i piccoli piaceri di un tappeto, dei cuscini, dei datteri snocciolati con l’uso di sole tre dita. Il piacere della gestualità, l’indice e il medio della mano che trattengono un frutto della palma e il pollice che spinto in avanti elimina il nocciolo per gustare la dolcezza della polpa unita al piacere del caffè amaro portato alle labbra con l’altra mano che sorregge la tazza. L’amaro del caffè e il dolce del dattero che si mescolano direttamente in bocca, che dire? Semplicemente goduria!
Surfare sulle onde di sabbia
Il sole scompare. Il fuoristrada 4×4 guidato da Hilal che ci ha accompagnato nel cuore “sabbioso” dell’Oman riprende a surfare sulle onde dal manto tigrato di sabbia per riportarci al camp. Il mare di granelli è dominato dal mezzo, che zigzagando, salendo e scendendo, vince la sabbia e i suoi “cavalloni” che ricoprono l’auto. L’oscurità giunge e tinge man mano di color pece tutto. Sono evidenti la via lattea e le stelle, così lucenti mai viste. Ci indicano la direzione. Il cuore è colmo di emozioni. Nel frattempo al Wahiba Sand Desert gli animali cominciano ad uscire dalle loro tane. Sono duecento le specie, compresa l’avifauna, alle quali si aggiungono i sedicimila invertebrati e le 150 specie di piante autoctone che lo abitano. Nel deserto c’è vita nonostante si ha la sensazione che nulla possa viverci.
Siamo stati in Oman in collaborazione con il Ministry of Heritage and Tourism – Sultanate of Oman e Desert Flower Tours. Per arrivare abbiamo volato con Etihad, la compagnia aerea più ecologia al mondo.
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